Michel Bauwens: Peer-to-Peer e Marxismo, analogie e differenze

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Peer-to-Peer e Marxismo, analogie e differenze - Intervista a Michel Bauwens
di Jean Lievens, Tanit - 3 gennaio 2012
Traduzione di Marco Giustini, Socialforge

URL = http://socialforge.org/art/1329


Text

"E il dibattito ha inizio … Peer-to-Peer e Marxismo: analogie e differenze

Jean Lievens intervista Michel Bauwens

3 gennaio 2012

Pubblichiamo un’intervista molto importante e dalla tempistica critica sul rapporto tra P2P e Marxismo. Condotta da Jean Lievens con il fondatore della Fondazione P2P Alternatives, Michel Bauwens, su alcuni aspetti della sua teoria P2P e della teoria Marxista, l’intervista potrebbe rappresentare l’apertura del più grande dibattito dei prossimi anni. Anche se l’ascesa del ‘modo di produzione P2P’ e i nuovi processi politici P2P sono stati ovviamente più che determinanti nel processo di cambiamento sociale che si è attivato nel 2011, con il contributo di tale produttivo dibattito saremmo in grado di ricavare proiezioni molto più chiare sulle alternative reali al capitalismo e su come far sì che tali alternative si realizzino. In seguito alla morte della ‘condizione postmoderna’ e con il ritorno della ‘guerra di classe’, tale dibattito creerebbe uno spazio equilibrato per un coinvolgimento costruttivo tra le tradizioni critiche marxista, anarchica e post-marxista.

Il mese scorso ero a Londra dove ho assistito a una conferenza di Michel Bauwens sulle dinamiche peer-to-peer. Ho scritto un articolo in olandese per ‘De Wereld Morgen’. Fortunatamente vi è una versione rielaborata della conferenza in video su Vimeo. P2P and the Commons as the new paradigm [P2P e i Commons come nuovo paradigma] di David Nixon su Vimeo. Dopo la conferenza ho contattato Michel per un’intervista.


Jean Lievens: Tutti conosciamo degli esempi di P2P nel campo immateriale: Linux, Wikipedia, Arduino. Puoi darci degli esempi di P2P nel mondo ‘reale’, materiale, ad esempio nel campo della produzione?

Michel Bauwens: Arduino è già un esempio che tocca la produzione materiale poiché le schede madri progettare collaborativamente sono già prodotte e vendute sul mercato da imprese che usano il marchio Arduino. Un esempio che davvero mi piace è il Nutrient Dense Project [Progetto per l’Alta Densità di Nutrienti], una rete collaborativa di ricerca di agricoltori e di scienziati urbani che utilizza direttamente la ricerca sui nutrienti nella propria produzione immediata. Una delle aree più eccitanti è probabilmente quella delle cosiddette automobili open-source, come la Rallye Motor e il veicolo d’assalto della marina XC2V finanziato dalla Darpa, quest’ultimo basato su contributi di oltre 30.000 progetti. Lo StreetScooter, un’auto elettrica basata su Commons di progettazione imprenditoriale con la partecipazione di oltre 50 imprese è forse la più eccitante, poiché gli ordini sono già affluiti e l’auto dovrebbe essere in circolazione nelle città tedesche entro il 2013. Nella sezione Wiki della Fondazione P2P sul Product Hacking [modifica/personalizzazione di prodotti] (http://p2pfoundation.net/Product_Hacking), abbiamo annotato circa 300 progetti ad hardware aperto ma essi sono solo la punta dell’iceberg. Aiuta a distinguere la fase di progettazione, in cui le fonti partecipative e la collaborazione non sono qualitativamente diverse dalla collaborazione nel software, dalla fase della ‘fabbricazione’ che richiederebbe un’infrastruttura per la produzione aperta e distribuita che è solo marginalmente disponibile. Ma nel campo della fabbricazione abbiamo sviluppi eccitanti in direzione di infrastrutture materiali condivise quali gli spazi di co-lavoro e di modifica/personalizzazione, i sistemi di prodotti-servizi per la condivisione della auto e molti altri servizi e la miniaturizzazione della produzione mediante la stampa in 3D e i Fab Labs [Laboratori di Fabbricazione basati su trasmissione telematica di progetti], i quali hanno tutti anche versioni e aspetti open source.


JL: Tu paragoni la transizione3 dal capitalismo al P2P alla transizione dalla schiavitù al feudalesimo, o dal feudalesimo al capitalismo. In entrambi i casi c’è stato uno scambio reciproco tra il vertice e la base. A Londra hai solo trattato della prima: gli schiavi che abbandonano il sistema e i proprietari di schiavi che trasformano gli schiavi in servi che stavano meglio di prima, ma che dire della transizione dal feudalesimo al capitalismo? Ci fu la nascita di una nuova classe e la trasformazione dei nobili in capitalisti, ma è arduo affermare che gli operai stessero meglio di prima. Dunque dov’è il cambiamento positivo in basso?

MB: La transizione da una forma di società di classi diseguali a un’altra è sempre problematica per le classi produttrici di valore che stanno in basso. Si può sostenere che la servitù sia intrinsecamente una posizione migliore della schiavitù, ma ha continuato ad essere sfruttamento e dominio e molti servi in precedenza erano contadini liberi. La situazione con il capitalismo non è tanto diversa; anche se ci sono state, e ci sono, tante privazioni i diritti formali dei lavoratori costituiscono certamente un miglioramento e, almeno per la classe operaia occidentale, c’è stato per un lungo periodo un miglioramento sostanziale.

Ma nel complesso i sistemi si sono avvicendati perché il vecchio sistema non era più sostenibile e il nuovo era in generale più efficiente nel creare ricchezze materiali. Tutto dipende dal contratto sociale e dal rapporto relativo delle forze in gioco. Forti movimenti sindacali hanno enormemente migliorato la situazione dei lavoratori e la situazione nel Medioevo, tra il decimo e il tredicesimo secolo, era una situazione di miglioramento della qualità della vita. I precedenti sono, dunque, eterogenei e le persone stessi di solito hanno una chiara idea di quello che deve essere migliorato. Ad esempio quale lavoratore vorrebbe tornare alla servitù come condizione sociale? Poiché ho difficoltà a immaginare una società priva di classi, vedo i produttori paritari in conflitto con il capitale che domina la rete [netarchical] riguardo alle proprie condizioni sociali, ai loro diritti e alle loro vite materiali, fino al momento in cui i produttori paritari diverranno lo strato sociale chiave e i Commons il luogo chiave della creazione del valore. Questo non è uno scenario scientifico con un finale certo e inevitabile bensì una descrizione del campo di tensione in cui si sviluppa la produzione paritaria.


JL: Per proseguire con questa analogia: vedi sorgere una nuova classe nel capitalismo o una sorta di “capitalisti illuminati” che si rivolgono all’Open Source (come descritto in Wikinomics)?

MB: I Commons sono e saranno sempre più il cuore della creazione di valore, ma del valore continua sostanzialmente ad appropriarsi l’economi di mercato e il capitale dominante la rete è il segmento del capitale che comprende tale cambiamento e vuole trarne profitto. Ciò significa che dovranno sia consentire sia dare potere alla produzione sociale, ma anche assoggettarla al proprio controllo in modo da potersi appropriare del valore da essa generato. La prima parte li costringe a certi tipi di comportamento strategico che promuove la condivisione, mentre la seconda li costringe a mantenere un contesto generale di continuo dominio. Questa è, in essenza, la nuova tensione sociale dell’emergente era P2P, tra le comunità di produttori paritari e i proprietari delle piattaforme. La chiave per i produttori paritari sta nel conquistare il controllo delle proprie vite e della propria riproduzione sociale e, secondo me, il modo migliore per farlo consiste nel creare i propri veicoli cooperativi/imprenditoriali che chiamo, seguendo i suggerimenti di Neil Stephenson in ‘The Diamond Age” [L’età del diamante] e di LasIndias.net, “Phyllis”, ovvero entità comunitarie/di sostegno che consentano ai cittadini di sostenere il proprio lavoro nei beni comuni e sottrarlo all’economia convenzionale della massimizzazione del profitto.


JL: Riesci a vedere un parallelo tra il P2P e il movimento cooperativo nato nel diciottesimo secolo (socialismo utopico) o con gli hippy e le comuni degli anni sessanta?

MB: L’impulso all’operare in comune è uno degli aspetti permanenti dell’umanità; con alti e bassi a seconda delle condizioni sociali, e io penso che stiamo assistendo a una rinascita di tale impulso. Tuttavia c’è una grande differenza: le forme cooperative di organizzazione possono ora lavorare attorno a Commons di progettazione aperta e diventare iper-innovative e possono conseguire economie di scale tali da superare le multinazionali basate sull’azionariato. Le cooperative e le comunità finalizzate non sono, perciò, più “forme nane” ma in realtà l’avanguardia del nuovo sistema di produzione P2P. Se si combinano i Commons dell’innovazione aperta condivisa (invece della proprietà intellettuale privatizzata che rallenta l’innovazione) con queste nuove entità di massimizzazione dei prodotti e dei Commons, si può conseguire un balzo quantico nella produttività. E’ per questo che i capitalisti delle reti investono in piattaforme ed è per questo che l’economia etica alternativa deve fare la stessa cosa, e se lo fa potrebbe sostituire, nel cuore della nostra economia, le industrie finalizzate al profitto.


JL: Tu dici che dobbiamo preparare un’alternativa al capitalismo. Il movimento P2P è una specie di ‘fuga’?

MB: La crescita infinita non è possibile in un ambiente finito e noi ora stiamo toccando i limiti della crescita. Questo significa che il capitalismo è sempre meno in grado di uscire dai suoi problemi attraverso la crescita e che la percentuale dell’1% può crescere solo mediante l’esproprio, ed è a questo che stiamo assistendo ora in Europa, con

la Grecia come esempio anticipato di quel che è in serbo per le popolazioni lavoratrici. Dunque non si tratta di fuga. Il vecchio sistema sta morendo e deve essere sostituito, ma potrebbe essere sostituito da qualcosa di peggiore, potrebbe regredire come nei primi secoli dopo la caduta dell’Impero Romano, o potrebbe riorganizzarsi a un livello più elevato di risultati e complessità, il che è quello che indica l’approccio P2P.


JL: Tu descrivi Occupy come un esempio di produzione paritaria di Commons politici. In che modo è diverso dai movimenti storici ‘anarchici’ o ‘comunisti’ come la Comune di Parigi, Barcellona 1937 o forse persino la Rivoluzione Russa?

MB: Se si osserva un’occupazione si vede una comunità che produce la sua politica autonomamente, senza seguire movimenti politici gerarchici o autoritari con un programma preordinato; si vedono istituzioni benefiche che si fanno carico dell’approvvigionamento degli occupanti (cibo, assistenza sanitaria) e la creazione di un’economia etica attorno al movimento (come il Progetto di Occupy dei Venditori di Strada). Ciò prefigura una nuova forma di società in cui i Commons sono al cuore della creazione del valore; questi Commons sono amministrati da istituzioni non a scopo di lucro e la sussistenza è assicurata mediante un’economia etica. Naturalmente ci sono precedenti storici, ma ciò che è nuovo è lo straordinario potenziale organizzativo, di mobilitazione e co-apprendimento delle sue reti. Occupy opera come un’API [Application Programming Interface – Applicazione di interfaccia di programmazione] aperta con moduli, quali gli ‘accampamenti di protesta’, le ‘assemblee generali’, che possono essere utilizzati come modelli ed essere modificati da tutti, senza necessità di una dirigenza centrale. Ora siamo in grado di avere un coordinamento e un mutuo allineamento globali di una moltitudine di dinamiche di piccoli gruppi, e ciò richiede un nuovo tipo di guida. La consapevolezza del momento storico del Picco della Gerarchia, il momento in cui le reti distribuite asimmetricamente possono sfidare le istituzioni verticali in modi che non erano possibili in precedenza, costringe i movimenti sociali a guardare a nuove forme di governabilità … ma queste non sono date e devono essere scoperte sperimentalmente; e, naturalmente, ci saranno lezioni valide da apprendere dai movimenti del passato!


JL: Affinché il P2P fiorisca davvero, dobbiamo liberarci dei diritti di proprietàintellettuale, dei diritti d’autore, dei brevetti, ecc. Come pensi che possiamo riuscirci?

MB: Personalmente non sono un abolizionista puro, perché ritengo che un mucchio di artisti e creativi credano nella necessità dei diritti d’autore, perciò penso che possiamo discutere di numeri. Riportare la protezione a periodi ragionevoli di tempo, non più dei 14 anni originali di protezione, o meno; il Partito Pirata propone un limite di cinque anni. Accanto a ciò vi è l’offerta di una scelta ai creativi, rendendo popolari licenze basate sulle scelte, come i Creativi Commons. Ma la priorità sta nel trovare nuovi modi di finanziare la creazione … ciò si può fare attraverso licenze collettive e altre forme di finanziamento pubblico, promuovendo e sostenendo modelli di commercio aperti e, alla fin fine, mediante un reddito minimo, che riconosca che ogni cittadino contribuisce al valore e lo crea. Questi obiettivi si possono conseguire in parte attraverso l’innovazione sociale che deriva dalle comunità di produzione paritaria che sperimentano intensamente nuove forme di commercio, quali il movimento per la cultura gratuita, i Partiti Pirata, e altre espressioni della nuova cultura della condivisione.


JL:A me pare che il P2P stia creando una specie di “mondo interamente nuovo”, ma senza alcun riferimento o collegamento all’attuale sistema politico. Se Occupy rappresenta un’alternativa che si impegnasse in politica, qual è il collegamento tra la politica paritaria e la democrazia borghese e i partiti politici?

MB: Questa è una domanda molto difficile e deriva da un paradosso. Un aspetto è la crescente consapevolezza sociale che la nostra attuale democrazia è una facciata e che lo stato è stato occupato da una fazione finanziaria predatrice, mentre i politici non vedono altra via d’uscita che soccombere ai suoi ricatti. Ma l’altro lato è che le libertà e i diritti popolari e il reddito privato e sociale sono sempre più sotto pressione, il che porta alla mobilitazione politica e sociale così come a un efficace impegno politico. Il primo aspetto porta a una continua innovazione democratica dalla nuova cultura P2P; pensa ai meccanismi di amministrazione paritari nelle comunità paritarie di produzione; nuove invenzioni, come il voto dinamico, e anche se questi meccanismi operano all’esterno delle convenzioni vi sono anche inserite nuove forme di creazione di valore, nuove istituzioni sociali P2P e perciò pronte a crescere. Il secondo aspetto porta a nuove forze politiche e sociali che operano all’interno del sistema attuale, come l’emergente Partito Pirata. In Brasile ho sentito che il vivace movimento culturale Eixo do Foro, che ha una contro-economia funzionante centrata sulla musica, si sta anche politicizzando e impegnando nella politica locale. Il secondo conduce a quella che chiamo politica diagonale, ovvero a un mutuo adattamento tra le forze e le prassi emergenti P2P e le vecchie realtà istituzionali.

Nella misura in cui ciò sia inefficace, allontana dalla soluzione derivante dal primo aspetto, ovvero prepara a un più radicale e rivoluzionario riordinamento delle nostre istituzioni. Significativamente un membro del Partito Pirata Svedese ha scritto una volta che il Partito Pirata è l’ultima possibilità di evitare la rivoluzione. Nella misura in cui l’attuale sistema rifiuta di adattarsi, in quella misura accresce la necessità e la spinta a trasformazioni più radicali.


JL: Come valuti l’impatto del P2P sul movimento sindacale? Non mina anche le strutture burocratiche delle organizzazioni dei lavoratori?

MB: Sono in contatto con giovani attivisti sindacali e del lavoro che sono forti sostenitori del movimento sindacale in rete e vediamo anche come il movimento Occupy ha già radicalizzato il movimento sindacale statunitense. Ma alla fine la vecchia struttura istituzionale e gerarchica dei sindacati, così come la loro crescente incapacità di proteggere le conquiste sociali nell’attuale sistema regressivo devono anch’esse condurre a un profondo rinnovamento del movimento sindacale. In un certo modo il movimento P2P è effettivamente un’espressione del nuovo strato dominante di lavoratori del settore cognitivo, che in occidente sono il pilastro del lavoro produttivo. P2P è la loro cultura e quel che deve essere realizzato per realizzare un lavoro produttivo e utile. In quel senso il movimento P2P è il nuovo movimento del lavoro del ventunesimo secolo, con gli Indignados e Occupy come prima espressione di quel nuovo sindacato ma anche di sensibilità civica.


JL: Tu dichiari che P2P rende possibile una nuova e “più elevata” forma di società. Prima non è stato così perché la tecnologia non esisteva. I Marxisti dicono la stessa cosa da più di 150 anni. Pensi che si sbagliassero allora, che forse abbiano ragione oggi oppure P2P è qualcosa di ‘completamente diverso’?

MB: Considero il marxismo e le altre forme di socialismo e anarchismo, alla fin fine come un’espressione della dicotomia all’interno del sistema capitalista industriale e che propongono altre logiche per gestire il modello industriale. Ma P2P è espressione delle dinamiche di classe e sociali in evoluzione sotto il capitalismo cognitivo.

E anche se il primo era sostanzialmente anti-capitalista e non poteva realmente puntare a una nuovo modello iperproduttivo di organizzazione della produzione (il socialismo era un’ipotesi, e gli esempi della sua attuazione reale inevitabilmente hanno deluso; non vi era un socialismo emergente all’interno del capitalismo e solo il ‘capitalismo di stato’ al di fuori di esso) quello che è diverso nel movimento P2P è che può puntare a modelli già esistenti che superano in cooperazione e competizione i modelli capitalisti classici, ovvero è post-capitalista. Marx aveva ragione riguardo al capitalismo ma aveva torto riguardo al socialismo e io credo che il modello, diretto politicamente, del cambiamento sociale, quando non sia basato su un modello produttivo già esistente, sia stato mal concepito. Il movimento P2P è perciò pronto a realizzare quello che i movimenti del diciannovesimo e ventesimo secolo non hanno potuto realizzare perché a loro non era disponibile l’alternativa iperproduttiva. La politica del fluire del P2P da una prassi sociale già esistente, quella è davvero la differenza chiave."


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Originale : http://forum.tanit.co/joomla/index.php/forum/5-General-Discussion-%28public%29/694-Peer-to-Peer-and-Marxism#694

Repost: https://snuproject.wordpress.com/2012/01/03/and-the-debate-begins-peer-to-peer-and-marxism- analogies-and-differences-jean-lievens-interviewed-with-michel-bauwens/